Qualcuno dice che nuotare è il ritorno primordiale a quello che prima eravamo, organismi primordiali, senza infrastrutture mentali e senza dietrologie. Puro istinto. Forse è per questo che molti, quando nuotano, trovano in quell’atmosfera ovattata, la pace dei sensi, l’oasi lontana dalla tempesta di tutti i giorni. Il ritorno alla madre acqua, fonte di vita ed esistenza.
Carl, nazionale di nuoto, la pensava esattamente in quel modo. Non riusciva a vivere senza nuotare, senza il massaggio dell’acqua sui muscoli tesi e scattanti. Indossava i suoi occhialini e si buttava in quella vasca, dirottando tutto il suo mondo, nel lento fruscio di una mano che accarezza l’acqua dall’odor di cloro. Il gesto, affinato in anni di allenamenti, era di una tale efficacia, che il suo corpo veloce e scivolante sull’acqua, pareva fosse nato solo per questo. Ma il suo gesto non era solo meccanico, ogni fibra che si muoveva in quella piscina, disegnava nell’aria e nell’acqua la poesia del movimento e del galleggiamento del suo spirito sognante.
Se l’acqua della piscina era il suo essere, non lo si poteva dire, certo, dell’acqua del mare.
Tante volte gli era capitato di andare a feste estive, falò. Ma all’invito degli amici di tuffarsi in acqua, un incubo. C’era qualcosa che, fin da piccolo, lo bloccava e di colpo, alla vista di quella immensità, diventava goffo. I suoi occhi tremavano, il suo corpo si intirizziva, soprattutto, di notte. Era terrorizzato. Il solo odore acre del mare, da tempo, lo intristiva e così se ne stava lì fermo a guardare gli altri divertirsi con il loro amico mare.
Un giorno Alfred, un suo compagno di allenamento, si fermò a parlare con lui
“Carl, di cosa hai paura? Cosa ti spaventa del mare? Sei un nuotatore provetto, mi spieghi perché il mare ti intristisce?”
“Alfred, la piscina è un insieme contenuto di acqua, ma il mare è un’altra cosa. L’orizzonte è qualcosa che sembra che tu possa toccare, ma che alla fine non riesci mai a raggiungere.Ed io ho bisogno di vedere dove vado e di sapere cosa faccio. Ho bisogno di sapere che prima o poi toccherò l’altra sponda e sul mare, non è possibile. Questa cosa mi blocca”
Replicò Carl
“Che cosa fa la paura dell’immensità, dell’ignoto, di quello che non si riesce a vedere? Che cosa fa la testa?”
Pensava Alfred del controllato Carl.
Era una notte di agosto, il luccichio delle stelle era favoloso sopra quella spiaggia, dove Alfred andava sempre. Con lui c’era solo Carl quella sera. Un idea all’improvviso. Alfred si buttò in acqua e dopo un paio di bracciate, incomincio ad annaspare. Un malore. Carl sbianco alla vista del suo amico che stava annegando. Fu un momento. Istinto puro. Si butto al buio, in acqua. Il mare lo circondo con il suo abbraccio, mentre Carl disperato, nuotava con tutte le sue forze per raggiungere il braccio di Alfred, che con il suo chiarore, era uno sbaffo bianco in mezzo al buio più totale.
Che messinscena tremenda, che scherzo sporco gli aveva fatto Alfred e Carl se ne accorse quando vide spuntare dal mare, il sorriso stile Stregatto di Alice, del caro Alfred. Arrivato a pochi centimetri di distanza, dopo uno scatto in stile libero, da record italiano, Carl senti Alfred affermare:
“Ah allora sai nuotare?”
“Bhè dai, dato che sei in acqua, goditi il mare notturno con me. Nuotiamo insieme verso il largo, verso l’ignoto. Vedrai. Non sarà così male”
Carl, di rimando, all’inizio turbato, trasformò la poesia delle sue bracciate da nuotatore, nella violenza di una manata, degna di un pugile da pesi massimi, sulla spalla di Alfred. Alfred accusò il colpo, ma non smise di ridere di gusto. Aveva raggiunto il suo scopo. Aveva aiutato il suo amico ad essere meno controllato, a buttarsi con cognizione nell’ignoto del mare. Fecero una lunga nuotata, Carl era goffo nelle prime bracciate, ma con il passare dei minuti, incominciò a capire come contrastare le onde, come godersi il sale del mare, i pesci che nuotavano sotto di lui, che approfittavano anch’essi del buio della notte, per sguazzare con un po più di tranquillità.
Ogni tanto le sue gambe, incrociavano uno scoglio, stile iceberg sul Titanic. Ma il dolore dello scontro era ampiamente compensato dal dolce godere dell’immenso abbraccio del mare, che finalmente Carl aveva deciso di accettare.
Perché il mare aveva sempre voluto bene a Carl e sembrava lo aspettasse. Carl fu realmente felice, solo da quel momento. Fu una delle serate più belle della sua vita. Quella serata, si rese conto di quanto è bello godere della vista delle stelle, facendo il morto sul mare. Godere del fruscio dei pesci che non vedi, che ti passano a pochi centimetri dalla pelle. Godere del gusto salato di tuo padre mare. Lì si rese conto di ciò che aveva perso in quelli anni, per paura dell’ignoto, per paura di buttarsi in maniera cosciente su ciò che non vedeva.
Spesso non è positivo rimanere nella propria pozza limitata, nella propria piscina. Spesso è giusto, buttarsi nelle profondità invisibili del mare e godere di esse
Da quel giorno Carl, fu più consapevole di quel che era e decise di passare spesso ad abbracciare e farsi abbracciare da suo padre mare, insieme al suo amico Alfred, che con il suo brutto scherzo, gli aveva fatto uno dei regali più belli della sua vita.
Udito – Musica consigliata: Ludovico Einaudi “Le onde”
Gusto: sale
Olfatto: mare
Tatto: acqua