Era inverno e le montagne della Marmolada innevate, riempivano la mia vista. L’aria fredda mi apriva i polmoni. Il mio respiro era mozzato dal freddo e le mani mi dolevano. Ci approcciamo al museo della prima guerra mondiale e pensai al freddo che i soldati avevano patito, gli stenti. La paura di non tornare a casa è una cosa che nessuno può immaginare totalmente, se non ha vissuto certe esperienze. Eppure, fu la prima cosa che mi venne in mente, quando varcai l’uscio del museo. Un angoscia mi prese, ma nello stesso tempo, avvertii un aria familiare nel vedere quegli elmetti logori dal tempo. Le baionette arrugginite, gli scarponi consumati da mille camminate e chilometri, sembravano appartenermi. Foto di giovani volti, morti per lo più, riempivano quelle sale. Quasi avvertivo l’odore della polvere da sparo, dello sterco degli asini, che si inerpicavano per quei monti, cocciuti alla vista di strette viuzze di montagna e precipizi che portavano nell’abisso della pianura sottostante. Mi voltai verso una di quelle pareti e fui rapito da una foto. Non so perché. C’erano due giovani, uno alto e smilzo, l’altro tozzo e basso. Sembravano quasi la versione italiana di Stanlio e Olio. Un sorriso mi colse al pensiero. Quello alto e smilzo, rideva nella foto ed il suo sorriso aveva qualcosa di ipnotico per me. Mi soffermai a lungo nel vedere quella foto e quell’uomo. C’era uno specchio consumato dagli anni, affianco. Veniva utilizzato dai soldati per farsi la barba ed era stato recuperato dalla polvere di qualche cantina di montagna e posato lì, casualmente, affianco a quella foto. Era così casuale quella collocazione? Mi voltai un attimo, distolto, da un bambino che attirava l’attenzione della madre, alla vista di una divisa militare, lì vicino. Al mio ritornare, su quella foto, quel piccolo spostamento mi aveva posto esattamente a metà tra la foto e lo specchio. Mi vidi riflesso su quello specchio, con un occhio e con l’altro, tornai su quella foto. Il mio animò trasalì. Il mio sorriso era uguale a quello di quell’uomo. Il suo volto era il mio. Era la mia anima che mi richiamava alla vista di vite vissute precedentemente. Capì lì che cosa significa rispecchiarsi veramente in una foto. A fine giornata, uscì da quel museo, con il cuore riempito e conscio. Avevo trovato uno dei miei me stessi e questo mi aveva arricchito enormemente. Capì lì che avrei passato la vita a cercare gli altri me stessi, sparsi per il mondo, nelle vite passate, presenti e perché no, future.
Consigli sulle modalità di lettura
Udito – Musica consigliata: The last of mohicans music
Gusto: Grappa
Olfatto: Grappa
Tatto: neve o ghiaccio
Fonte foto: wikipedia (Marmolada)