Una volta vagavo tremebondo alla ricerca di un letto di piume,
cosparso di polvere di stelle.
Il mio mantello? il luccichio della notte.
Il mio scettro? un bastone di ulivo, raccattato non ricordo quando,
nel campo abbandonato di una masseria locale.
I miei piedi mi trascinavan per posti di presunta bellezza,
dove il sole, gagliardo gaglioffo, mi prendeva in giro con il suo lento incedere,
incurante dei pensieri che mi passavan per la testa.
Un intricato groviglio di rovi con more selvatiche era il mio cibo.
La mia acqua? era il verbo di colei che con naturalezza mi si avvicinava,
domandami dove fossi diretto.
Il mio giaciglio? un prato verde alla vista di un lago ameno.
I miei sogni? sempre accessi, raramente aridi.
Il mio sfogo? lo scrivere su foglie verdi di vite già vissute e di lampi appena apparsi.
Il mio io, era l’insieme dell’ego di mille persone che incontravo e delle esperienze
che avevan fatto capolino sul mio cammino.
Ora vivo su strade asfaltate e corro veloce come il lampo,
ballando senza alzar gli occhi al cielo, sulla vastità dell’universo,
costruendo rapidamente fondamenta che, nel breve volger di un giorno,
crollano alla vista di un campo di grano e
del lavoro delle vecchie massaie di un antico paese rurale.